Con l’avvento della tecnologia digitale si fa sempre più urgente l’esigenza di avere regole universalmente certe per l’utilizzo del logo identificativo anche nella realtà virtuale dei social network, come Instagram e Facebook o come nell’acquisto delle parole chiave di brand per la pubblicità su Google o, peggio ancora, nel sempre più diffuso metaverso, il globo etereo nel quale è riprodotta la realtà fisica con le stesse relazioni tra soggetti.
Utilizzo del marchio senza autorizzazione. Come si limita e si controlla l’utilizzo del logo non autorizzato su Internet.
In aggiunta a quanto detto è da considerare che Internet è una realtà, seppur virtuale, che travalica abbondantemente i confini nazionali. Una prima differenza rispetto al controllo dell’utilizzo dei marchi è relativa agli orientamenti giurisprudenziali. Per esempio, nel caso dei contratti di coesistenza tra marchi, per l’ordinamento italiano gli accordi per l’utilizzo condiviso del marchio sottoscritti non possono essere interpretati analogicamente, mentre nell’Ordinamento Anglosassone si. Ovvero, in Italia la mera presenza su Internet visibile anche all’estero, non configura di per sé violazione delle aree riservate alla controparte». Per considerare violato l’accordo sulle aree di commercializzazione sarebbe necessaria una specifica pattuizione riguardo all’utilizzo del marchio in Internet, che non può essere aggiunta in via analogica.
Al contrario, per l’Ordinamento Anglosassone, anche nel caso di accordi sull’utilizzo del marchio stipulati in anni in cui Internet non esisteva e che prevedevano, ad esempio, l’utilizzo dello stesso marchio da parte di 2 società, una in Europa e l’altra negli USA, nel caso in cui una diffonda il marchio su Internet accessibile a tutti, il giudice inglese riconosce la violazione dell’accordo, perché ritiene la coesistenza voluta dalle parti assoluta e onnicomprensiva ed estende l’interpretazione in via analogica all’uso del marchio su internet. A questo si aggiunge altro lavoro per gli avvocati che si occupano di marchi e brevetti, perché l’evoluzione tecnologica rende aree le merceologiche sempre più indistinte tra loro e l’utilizzo dei marchi su Internet sempre più frequente.
Il caso dei marchi registrati per coprire aree merceologiche lontane dalla originaria categoria di appartenenza
Già da qualche anno la Nike ha depositato e registrato negli USA i marchi “Nike” e “Nikeland” associandoli a prodotti e servizi virtuali di vendita e di intrattenimento lontani dal suo settore merceologico. Altri casi riguardano aziende del settore moda che hanno registrato marchi per la produzione di software. Questo avviene perché l’evoluzione della rete rende possibile azioni che prima non erano neppure concepite.
La tutela del marchio, la concorrenza sleale l’uso improprio del marchio in Internet
La tutela del marchio, la concorrenza sleale, l’uso improprio del marchio sono tutti istituti giuridici che operano nella realtà sia fisica. Lo sono anche in quella virtuale ma, in questo caso, i concetti sono più liquidi e sfuggenti. Sono già noti alcuni casi di violazione del marchio in Internet come quello del digital designer statunitense, che ha introdotto esclusivamente nel Metaverso una collezione di circa un centinaio di borse note come “Meta Birkin” sotto forma di Nft ovvero Non-Fungible Tokens. Gli NFT sono certificati unici di proprietà su opere digitali, registrati in una blockchain, utilizzati per provare la proprietà di un qualsivoglia bene digitale, come la moneta. In questo caso Hermès ha intentato una causa nei confronti del digital designer per violazione di diritti di proprietà industriale ed intellettuale relativi al segno “Birkin” di cui è proprietaria. La contraffazione è chiara ma bisogna pur sempre estendere l’interpretazione delle norme esistenti alla tipologia nuova di contraffazione virtuale. Com’è prevedibile i casi di contraffazione nel metaverso si moltiplicano, in considerazione dell’utilizzo della nuove tecnologie NFT descritte sopra. Anche la Nike ha intentato una causa nei confronti di una piattaforma di vendita, che nel suo lancio aveva incluso la commercializzazione in NFT di prodotti Nike senza permesso a prezzi maggiorati. Gli Nft creati potrebbero confondere i consumatori e danneggiare la reputazione di Nike.
Il caso degli Influencer e l’utilizzo dei marchi
Un Influencer produce contenuti quotidiani pubblicitari per immagini, sui canali Social come Instagram e TikTok. Cosa succede quando un Influencer, nel riprendere scene della sua vita quotidiana, inquadra sia il marchio del prodotto che sta promuovendo che un altro per il quale non ha l’autorizzazione?
L’illiceità all’uso di un marchio rinomato da parte degli influencer
Già dal 2019, nell’articolo 20 del Codice della Proprietà Industriale che prevede il diritto per il titolare di usare il marchio registrato con esclusività e di permettere a terzi di utilizzarlo solo con la propria autorizzazione, è stato introdotto il principio per cui è illecito l’uso di un marchio rinomato “anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e i servizi” laddove “senza giusto motivo, consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio” stesso.
Il caso di illecito uso del marchio e il reato connesso ha riguardato una nota casa di moda e il suo Influencer, che avevano ripetutamente pubblicato senza autorizzazione sui profili Instagram, alcuni contenuti nei quali comparivano scarpe e capi di abbigliamento con il proprio brand accostati ad auto di lusso il cui marchio era ben visibile. In questo caso il Tribunale ha stabilito un importante principio, ovvero quello per il quale se l’Influencer pubblica davvero scene della sua vita quotidiana, così come qualunque altro utente, allora non si può ipotizzare un vantaggio commerciale derivante dalla diffusione non autorizzata di un marchio famoso ripreso nel post. Il principio discende “dall’ovvia considerazione secondo cui la pubblicazione di scene di vita quotidiana, implica l’inevitabile esposizione dei segni distintivi dei prodotti normalmente usati dal soggetto rappresentato per compiere l’azione pubblicata”.
Ma se il contenuto per immagini o video pubblicato su un profilo Instagram o TikTok o altro social ha un evidente scopo commerciale, allora la diffusione non autorizzata del marchio, per di più associato ad un altro, rappresenta una illecita violazione del marchio registrato, punibile rispetto alle norme vigenti per la tutela del marchio per usurpazione, illecito vantaggio e concorrenza sleale.