Il D.Lgs. 75/2017, art. 20, prevede un piano di stabilizzazione dei precari della Pubblica Amministrazione per gli anni 2018 – 2020. Ma sembrava che dal decreto Madia fosse esclusa la stabilizzazione del precariato degli assegnisti di ricerca. Invece, il MIUR e il TAR hanno stabilito che hanno diritto alla stabilizzazione anche i ricercatori precari dell’università. Ma andiamo con ordine. Il personale non dirigenziale che rientra nella manovra di stabilizzazione deve avere i seguenti requisiti:
- risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati;
- sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attivita’ svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
- abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione di cui alla lettera a) che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
LEGGI QUI COME ADERIRE ENTRO IL 30 MARZO 2020 AL RICORSO UE PER LA STABILIZZAZIONE DEI RICERCATORI PRECARI DELL’UNIVERSITÀ: Rinvio alla Corte di Giustizia UE del ricorso dei ricercatori Tipo A/B. Vittoria in vista
Posto che la finestra per chiedere al stabilizzazione dei ricercatori precari dell’università si chiude il 30 Marzo 2020, per quanto riguarda la stabilizzazione, per i ricercatori precari dell’Università era nato il dubbio che per loro e per gli assegnisti di ricerca non ci fossero i requisiti per poter concorrere al computo degli anni di servizio di cui alla summenzionata lettera c). Ciò in quanto, secondo alcune amministrazioni pubbliche, detto computo doveva farsi esclusivamente in ragione di contratti di lavoro subordinato. Poiché – sempre secondo la pubblica amministrazione – l’assegno di ricerca universitaria non costituisce contratto di lavoro subordinato ma, piuttosto, contratto di lavoro autonomo di collaborazione continuativa, esso non poteva essere posto a base del computo previsto dall’art. 20 summenzionato.
Ad avviso del MIUR e del TAR che l’ha ribadito, anche il ricercatore universitario precario ha diritto di accesso alle procedure di stabilizzazione.
Ebbene, il TAR Lazio ha chiarito definitivamente il punto, ribadendo che anche per gli assegni di ricerca valgono al computo degli anni di servizio per la stabilizzazione ex art. 20, D. Lgs. 75/2017. Il Tribunale Amministrativo ha infatti rilevato che è la stessa circolare ministeriale del Miur, la n. 3 del 23 novembre 2017, ad aver già chiarito il dubbio, così riferendo: “l’ampio riferimento alle varie tipologie di contratti di lavoro flessibile, di cui all’articolo 20, comma 2, può ricomprendere i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e anche i contratti degli assegnisti di ricerca” (Circolare n. 3/2017, punto 3.2.7).
Pertanto, sulla scorta dell’interpretazione del MIUR, il TAR ha annullato il provvedimento di un’amministrazione pubblica che non computava negli anni di servizio di un dipendente pubblico precario da stabilizzare, anche gli assegnisti di ricerca. Secondo la sentenza del Tar Lazio 10158/2018, infatti, l’assegno di ricerca vale a tutti gli effetti per il computo degli anni di servizio richiesti dall’art. 20, comma 2, lettera c) del D.Lgs. 75/2015. A ulteriore chiarimento vale la La sentenza Santoro della Corte di giustizia Ue sui precari siciliani
Se vuoi saltare i tecnicismi legali, ti spiego QUI perché un ricercatore universitario di Tipo A/B deve fare il Ricorso per ottenere la stabilizzazione.
Il diritto all’inserimento in un piano di stabilizzazione per i ricercatori universitari precari e il risarcimento del danno
Ma cosa succede se la stabilizzazione non interviene? Molti ricercatori hanno visto il proprio contratto concludersi dopo i fatidici 36 mesi, senza essere inseriti in un piano di stabilizzazione, come previsto dal D. Lgs. 75/2017. Ad avviso della scrivente detto licenziamento è illegittimo, è va senz’altro impugnato entro i termini di legge, 60 giorni.
I ricercatori che hanno i requisiti per entrare nel piano di stabilizzazione 2018 – 2020, infatti, non possono essere licenziati, ma devono essere inseriti in un piano di stabilizzazione come previsto per legge. Se ciò non avviene, allora subentra il criterio del risarcimento del danno per reiterazione del contratto a termine oltre il limite previsto per legge e per danno da perdita di chance. Infatti, vista la manovra del 2017, i soggetti che nella fascia temporale 2018 – 2020 hanno i requisiti previsti dall’art. 20, hanno fatto un incolpevole affidamento sull’assunzione a tempo indeterminato, secondo il previsto piano di stabilizzazione.
Le amministrazioni regionali, come la Sicilia, non hanno attuato alcun programma di stabilizzazione ed hanno invece provveduto a licenziare coloro che avevano raggiunto i 36 mesi di contratto a termine. Ciò senza tenere conto che, secondo la circolare n. 3 del 23 novembre 2017, anche l’assegno di ricerca doveva computarsi come contratto a termine e che pertanto, il limite di reiterazione del contratto a tempo determinato era già stato superato abbondantemente.
Le sentenze “Mascolo” e “Rossato” chiariscono che il ricorso reiterato al contratto a termine viola le norme UE
Già la sentenza “Mascolo” della Corte di Giustizia Europea aveva chiarito che il ricorso reiterato al contratto a termine oltre i 36 mesi, senza alcuna previsione ‘certa’ di stabilizzazione, costituiva una violazione delle norme europee. Ora, con la sentenza Rossato (C-494/17) la Corte ha chiarito un fondamentale passaggio, nel caso di stabilizzazione “per il futuro”, che non rimedia agli abusi già perpetrati e che non prevede alcun risarcimento del danno per le conseguenze dannose già verificatesi. Nella specie, la sentenza Rossato recita:
“La clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE deve essere interpretata nel senso che osta all’applicazione di disposizioni nazionali come quelle in causa nel giudizio principale, che prevedono la stabilizzazione degli insegnanti a termine per il futuro, senza effetto retroattivo e senza risarcimento del danno per gli abusi nel ricorso alla contrattazione a termine commessi nel periodo anteriore all’entrata in vigore di dette disposizioni, a meno che il giudice nazionale non individui nell’ordinamento interno altri rimedi volti a sanzionare debitamente l’abuso del ricorso alla contrattazione a termine e a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione”.
Alla luce della suddetta sentenza, non basta che lo stato preveda programmi di stabilizzazione per liberarsi dalla responsabilità di aver reiterato – per anni – il contratto a termine, oltre il limite previsto per legge. Né è salvo da responsabilità lo stesso Stato che – dettate le norme per la stabilizzazione – non vigili sull’effettiva realizzazione di dette norme che, il più delle volte – nelle regioni – restano lettera morta.
A tal proposito, dunque, lo Studio legale Damiani&Damiani si propone di farsi portavoce dei ricercatori che hanno visto per anni reiterato il proprio contratto a termine, ora sotto forma di assegni di ricerca, ora sotto forma di contratto a tempo determinato e che, alla fine e nonostante la buona stella della stabilizzazione che finalmente recava un po’ di luce alla fine del tunnel, hanno visto spegnersi ogni speranza con un bel licenziamento in tronco “perché non ci sono fondi”.
Viste le note sentenza della Corte di Giustizia Europea, e vista anche la recente sentenza della Corte Costituzionale (2016), che prevedono tutte il risarcimento del danno già subito e subendo, vista la mancata applicazione del D.lgs. 75/2017, il ricorso è doveroso, onde recuperare quantomeno quanto di propria spettanza.
Pertanto, si invitano tutti i ricercatori che possiedono i requisiti di cui all’art. 20, D.lgs. 75/2017, e cioè che:
- risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati;
- sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attivita’ svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
- abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione di cui alla lettera a) che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
e che è stato licenziato anziché essere inserito in un piano di stabilizzazione, a contattare lo studio legale Damiani&Damiani per la rivendicazione e la difesa dei diritti quesiti e già violati.
Avv. Irene Damiani
Lo studio legale Damiani&Damiani fornisce assistenza legale online per il ricorso per la stabilizzazione dei ricercatori dei precari dell’università