La Legge Gelmini costringe i ricercatori precari dell’università, titolari di assegni di ricerca, al precariato senza sbocco. Lo ha scritto nero su bianco il TAR Lazio in un’ordinanza che ha rinviato alla Corte di Giustizia Europea il ricorso di uno dei tanti ricercatori universitari italiani esclusi dai piani di stabilizzazione della Legge Madia.
Cosa c’entra il Tar e la legge Gelmini con la stabilizzazione dei ricercatori precari dell’università
Per i ricercatori precari delle Università italiane, fino a pochi mesi fa, non c’era alcuna speranza di essere ammessi ai piani di stabilizzazione introdotti dalla Legge Madia per assorbire e stabilizzare la platea dei precari della P.A. in Italia.
La figura del Ricercatore dell’Università, infatti, era stata riformata dalla Legge Gelmini che ha abolito quella di ricercatore a tempo indeterminato, introducendo i concorsi per i Ricercatori a tempo determinato di Tipo A e di Tipo B. Si diventa ricercatore di Tipo A a tempo determinato con contratto di 3 anni, rinnovabili per altri 2, se l’Università possiede i fondi per rinnovare il contratto, dopo aver sostenuto il relativo concorso.
Il ricercatore di Tipo B è a tempo determinato dopo aver vinto il concorso per il contratto che ha una durata di soli 3 anni. La differenza con il Tipo A è che se allo scadere del contratto il ricercatore è anche in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale ASN obbligatoria per l’insegnamento, può essere sottoposto a procedura di valutazione da parte dell’Ateneo per essere assunto come Professore associato di seconda fascia, senza concorso e per chiamata diretta.
Le procedure di stabilizzazione dei precari della Legge Madia
La Legge Madia ha introdotto le procedure di stabilizzazione dei precari della P.A. perché il diritto comunitario impedisce la reiterazione per più di 36 mesi dello stesso tipo di contratto e con le stesse mansioni, a carico dello stesso soggetto che, quindi, dev’essere stabilizzato. Il principio è che se la P.A. reitera lo stesso tipo di contratto allo stesso soggetto per più di 36 mesi è perché, evidentemente, ha bisogno di quelle mansioni in via continuativa e non saltuaria e, quindi, la stabilizzazione vale anche per i ricercatori a tempo determinato e per i cosiddetti assegnisti di ricerca dell’università.
L’ordinanza del TAR Lazio che ha chiesto alla Corte di Giustizia Europa di esprimersi sui ricercatori precari dell’Università
Il TAR Lazio, sez. III, con l’ordinanza 3 aprile 2019, n. 4336 ha richiamato proprio questo principio e ha rimesso alla Corte di Giustizia Europa la decisione di farlo valere anche per i ricercatori universitari. La Legge Gelmini, infatti, costringe al precariato il ricercatore universitario per molto più di 36 mesi, ed ha rinviato alla Corte di giustizia europea il ricorso che un avvocato, con un lungo percorso da ricercatore, aveva intentato all’Università di Roma Tre per essere assunto a tempo indeterminato.
In sintesi, come tutti i ricercatori sanno, dopo 10/11 anni di carriera universitaria svolta da ricercatore e anche da insegnante, si può facilmente essere espulsi dall’Università e ritrovarsi a 35/40 anni a ricominciare tutto daccapo. Il fenomeno della reiterazione del precariato dei ricercatori universitari è reso evidente dai dati. Nel 2018 la platea del personale scientifico precario all’interno delle università era di 63.244 precari, quasi il 56 per cento del personale accademico.
Il Tar Lazio ha fatto propri gli argomenti a sostegno della tesi secondo cui la stabilizzazione è da ritenere un diritto anche dei ricercatori dell’università (e non solo per quelli degli Enti di Ricerca),
in conseguenza dell’accertamento dell’incompatibilità della legge Gelmini con i principi del diritto europeo in materia di contrasto all’abuso del rapporto di lavoro a tempo determinato, in specie nella parte in cui, per i suoi effetti, rende strutturale la figura del ricercatore precario.
Il ricorso dei ricercatori precari dell’Università per ottenere la stabilizzazione e il contratto a tempo indeterminato
Per tutti i ricercatori precari dell’università RTDA o RTDB, in vista della scadenza del loro contratto, si realizza la concreta opportunità di poter legittimamente richiedere di essere stabilizzati, in virtù della norma sui piani di stabilizzazione della Legge Madia.
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Ma l’ordinanza del TAR sul ricorso dei ricercatori precari e il loro diritto di essere stabilizzati all’interno delle università, investe anche la nuova riforma sul reclutamento dei ricercatori universitari attualmente in discussione in Parlamento.
La riforma è curata dal sottosegretario Lorenzo Fioramonti che ha la delega all’università. Secondo alcuni la proposta di legge rappresenta un ottima opportunità per gli RTD. Tuttavia la riforma interessa anche la docenza, con la creazione di una terza fascia di docenti, quella di professore aggregato. In questo modo si riconosce ufficialmente al ricercatore il ruolo di docente. Un ruolo che peraltro già oggi svolge, anche senza abilitazione scientifica nazionale.
Il disegno di legge, accanto al ricercatore RTD, reintroduce il ruolo del ricercatore a tempo indeterminato RTI. Il sistema di reclutamento avviene attraverso un sistema che ritorna sotto il parziale controllo del MIUR.
Le due figure di ricercatore a tempo determinato e a tempo indeterminato.
Il ricercatore è assunto con contratto a tempo determinato di durata triennale e prorogabile per soli due anni, al cui ruolo si può accedere con il possesso del dottorato di ricerca;
Il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato è riservato ai candidati che sono già stati titolari:
- di contratto a tempo determinato;
- di assegni di ricerca per almeno tre anni o delle borse post-dottorato o di equivalenti assegni o borse presso università estere, per almeno tre anni anche non continuativi;
- di dottorato di ricerca;
- di contratto di ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, della legge del n. 240 del 2010;
- di diploma di specializzazione medica per i settori concorsuali di area medica.
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Le basi giuridiche del ricorso alla Corte di Giustizia Europea. Le motivazioni del Tar Lazio.
Con l’ordinanza n. 4336/2019, Il Tar Lazio ha rimesso in Corte di Giustizia i seguenti quesiti:
- Se pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999 “Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato” intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui agli articoli 29 comma 2 lett. d) e comma 4 del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 e 36 comma 2 e comma 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, precluda per i ricercatori universitari assunti con contratto a tempo determinato di durata triennale, prorogabile per due anni, ai sensi dell’art. 24 comma 3 lett. a) della legge n. 240 del 2010, la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato;
- se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999….anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui agli artt. 29 comma 2 lett. d) e comma 4 del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 e 36 comma 2 e comma 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, sia applicata dai giudici nazionali dello Stato membro interessato in modo che il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione pubblica mediante un contratto di lavoro flessibile soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto a tempo determinato da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, non sussistendo (per effetto delle su citate disposizioni nazionali) un’altra misura efficace nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori;
- se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro della Direttiva 28 giugno 1999 ….. osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui all’art. 24, commi primo e terzo, della legge 30.12.2010 n. 240, che prevede la stipulazione e la proroga, per complessivi 5 anni (tre anni con eventuale proroga per due anni), di contratti a tempo determinato fra ricercatori ed università, subordinando la stipulazione a che essa avvenga “nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti”, ed altresì subordinando la proroga alla “positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte”, senza stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se la stipulazione e il rinnovo di siffatti contratti rispondano effettivamente ad un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine, e comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti, non risultando così compatibile con lo scopo e l’effetto utile dell’accordo quadro.
I soggetti titolari della vertenza al Tar Lazio. Ricercatori universitari a tempo determinato e titolari di assegno di ricerca
- Ricercatori che hanno superato 36 mesi di servizio con contratti di lavoro a tempo determinato;
- Ricercatori con un unico contratto di lavoro a tempo determinato di tipo A.
- Ricercatori che hanno superato 36 mesi di servizio avendo contratti a tempo determinato e altri contratti flessibili.
Anche i titolari di assegno di ricerca possono ambire alla stabilizzazione, se in possesso dei requisiti necessari. In questo caso la vertenza è proposta al Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa il quale ha il compito di monitorare e assicurare la garanzia e il rispetto delle disposizioni della Carta Sociale Europea, che insieme alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo completa il sistema di riconoscimento dei diritti dell’uomo per quel che riguarda l’aspetto diritti sociali ed economici garantiti dall’art. 117 della Costituzione italiana.
La procedura legale può riguardare tutti coloro che sono o sono stati titolari di almeno un assegno di ricerca successivamente alla data del 28 agosto 2015 e che al 31 dicembre 2017 abbiano maturato almeno tre anni di assegno di ricerca, anche non continuativi, negli ultimi 8 anni. Inoltre, possono aderire anche coloro i quali abbiano maturato il triennio di anzianità lavorativa con contratti annuali di tipologia diversa come i co.co.co.