Resta aperta la problematica già affrontata a questo link sul nostro sito e che riguarda il controllo del dipendente in smart working privato o pubblico. Anche e soprattutto sulla base del fatto che a causa della pandemia e per accelerare la condivisione dei vantaggi dello smart working, la modalità di lavoro agile può essere adottata in deroga all’accordo individuale previsto dalla Legge che lo ha istituito in Italia nel 2017. In materia di controlli il datore di lavoro ha delle prescrizioni precise e l’utilizzo di strumenti di controllo a distanza come videocamere e GPS resta problematico. Però una forma di bilanciamento tra il diritto di controllo della prestazione lavorativa a fini illeciti o lesivi per l’azienda e della protezione della privacy del dipendente può essere ravvisata dalla giurisprudenza dell’anno nel quale, a causa della pandemia, il lavoro in remoto ha avuto una notevole impennata.
Controllo a distanza. Come controllare lo smart worker
Una cosa appare dirimente per mettere al riparo la possibilità di poter utilizzare legittimamente ex post, le informazioni raccolte con gli strumenti di controllo remoto dell’attività del dipendente ovvero inviare le informative nel rispetto dei principi generali in materia di protezione dei dati personali. La raccomandazione è ancor più pertinente specie in questo periodo in cui la legge non richiede l’accordo individuale per l’adozione dello smart working.
Andiamo con ordine:
L’unico modo per controllare il dipendente che lavori da casa è in remoto, sulla base dei dati e delle informazioni che la tecnologia consente di raccogliere e conservare.
Il controllo a distanza del dipendente privato e pubblico era regolato dall’art.4 dello Statuto dei Lavoratori, riformato dal Jobs Act nel 2015. Secondo quel dettato legislativo il datore di lavoro non poteva sottoporre a controllo visivo il dipendente. Tuttavia, il datore di lavoro poteva installare per esigenze organizzative impianti e apparecchiature di controllo, dai quali poter desumere anche la possibilità di controllare a distanza l’attività dei lavoratori. Ma questa eventualità era prevista solo tramite l’accordo preventivo con le rappresentanze sindacali aziendali o tramite l’autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro. In assenza di una di queste 2 condizioni i dati raccolti erano inutilizzabili.
La riforma del lavoro nel 2015 con il Jobs Act è intervenuta anche per quel che riguarda gli strumenti di controllo a distanza del comportamento del dipendente e del lavoro svolto in remoto prevedendo 2 strumenti di controllo:
- quelli impiegati per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale;
- quelli utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa o quelli di registrazione degli accessi, direttamente preordinati all’esecuzione della prestazione lavorativa secondo quanto chiarito dal Garante per la Privacy.
Se per i primi permane l’obbligo preventivo di accordo con le organizzazioni aziendali o dell’autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro, per l’utilizzo dei secondi si può parlare di liberalizzazione perché per l’installazione non è necessaria alcun accordo o autorizzazione. Sia per gli uni che per gli altri, a prescindere dall’esistenza di un accordo o di un’autorizzazione, è prevista un’informativa che il datore di lavoro si riserva di effettuare nel rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali.
La legittimità del controllo a distanza del lavoro svolto in smart working
Sia prima che dopo la riforma del Jobs Act è rimasta sempre all’ordine del giorno della Giurisprudenza la legittimità o meno dei controlli a distanza sul dipendente, diretti ad accertare comportamenti illeciti o lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale.
Recentemente due sentenze hanno riaperto il tema dell’utilizzabilità delle informazioni raccolte con gli strumenti telematici di controllo a distanza, sulla base dell’esistenza dell’accordo sindacale o dell’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
La sentenza di Settembre 2020 della Corte di Appello di Milano
La Corte d’Appello di Milano si è pronunciata lo scorso Settembre 2020 in merito all’utilizzabilità delle comunicazioni e-mail estratte dall’account personale dei lavoratori. In questo caso, in obiter dictum, il giudice afferma che si può effettuare un controllo difensivo sull’account aziendale, previa informativa del lavoratore sulla potenziale conservazione dei dati e sulla loro duplicazione.
La sentenza della Corte di Cassazione di Novembre 2020
La seconda sentenza che qui interessa è la n.25977 della Corte di Cassazione, che l’ha emessa a Novembre 2020. In questo caso il dipendente di una società di servizi informatici degli istituti di credito è stato licenziato per giusta causa, per aver effettuato un accesso non autorizzato sul conto corrente del marito di una collega. Alla luce dell’accordo sindacale grazie al quale il datore di lavoro poteva svolgere controlli difensivi in presenza di indizi di reato, la Corte ha ritenuto legittimo il controllo disposto a posteriori sulla email del dipendente.
Sulla base dell’orientamento emerso dalle sentenze, si può affermare che il datore di lavoro può svolgere controlli difensivi ex post a distanza, che hanno lo scopo di accertare illeciti commessi dal dipendente, a determinate condizioni. Per la Corte di Cassazione, in una situazione in cui è presente un accordo sindacale. La Corte d’Appello di Milano, invece, non entra nel merito della necessità di un accordo aziendale, anche perché la questione dell’accesso all’account aziendale viene affrontata solo incidentalmente. L’unica cosa certa che emerge è che anche quando il controllo verte su uno strumento di lavoro per il quale non c’è bisogno di un accordo o autorizzazione, è imprescindibile fornire l’informativa al dipendente per poter utilizzare ex post i dati raccolti.
Scarica Gratis la Brochure Smart Revolution sui Modelli di Smart Working da adottare per la tua azienda